Per rompere il ghiaccio inizio io con una storia che forse è



... ...L'inizio di tutto.

Dicembre 2009


Ho comprato il mio primo PC nel 1982: era uno Spektrum: poco più di una calcolatrice, aveva una memoria ram di 1 kB; non aveva il monitor, ma si collegava alla televisione, non aveva nemmeno il sistema operativo (tipo l’attuale windows) e tutto quello che volevi fare te lo dovevi progettare con qualche linguaggio di programmazione tipo il Basic o il Pascal. Uno dei primi lavori che ho cercato di realizzare era un file per memorizzare le parole del nostro dialetto perché avevo paura di scordarmele: Il file si chiamava “parole dialettali di Vastogirardi”. Lo conservo ancora , salvato su un’audiocassetta perché quello era il mezzo di memorizzazione disponibile. Anche adesso sul mio PC c’è un file con lo stesso contenuto, ma il nome è diventato : “a r' uosct s' dice accuscì” (Non potete immaginare tutto quello che c’è dietro questo cambiamento di nome, è troppo lungo e profondo per poterlo spiegare adesso. )

La mia scuola

Nel 1956 io frequentavo la 4° elementare, e poiché l’edificio scolastico non era ancora stato costruito le aule erano sparse per il paese. La mia aula si trovava nella piazzetta ..(sotto l'ex asilo, di fronte al pino fatto piantare nel 1931 da Benito Mussolini per commemorare la morte di suo fratello Arnaldo); siccome io abitavo in Via 18 settembre 18, (dove sono nato), per recarmi a scuola dovevo attraversare tutto il paese: le scale le facevo quasi tutte!!!! Una mattina, giunto all’altezza dell’attuale municipio, anche il municipio quando ero ragazzo si trovava in altra sede, incontrai un’anziana signora chiamata Inforzato Maria, meglio nota con il nome di “Maria d' Nasctascia” (mamma di mio cognato Terenzio Antonelli emigrato in Canada nel 1957 ). Salutai la signora la quale rispondendo al saluto aggiunse: ”tarrizz cet la matina” io non capii cosa volesse dirmi perché non conoscevo il significato di “CET”,una volta a casa chiesi a mia madre il significato, lei mi spiegò che il termine cet voleva dire presto, ma che era una parola non più usata: “lo usavano i vecchi di prima". La cosa mi parve strana perché credevo che nel dialetto non ci fossero cambiamenti, invece quel giorno scoprii che anche il dialettio si modifica. La curiosità di sapere se ci sono altri termini non più usati o modificati , mi è rimasta tuttora.

Finite le scuole elementari, avrei potuto iscrivermi ad una scuola di avviamento al lavoro oppure alle scuole medie per le quali occorreva aver superato un esame, detto appunto di ammissione, che però non avevo sostenuto; In entrambi i casi sarei dovuto andare fuori dal paese perché a Vastogirardi non c’erano altre scuole oltre alle elementari. Quell’ autunno però istituirono in paese una classe aggiuntiva alle elementari, chiamata appunto “sesta”; la frequenza non era obbligatoria, però potevano iscriversi tutti coloro che avevano conseguito la licenza elementare in anni precedenti. Così feci, ma oltre a frequentare la sesta, andai a lezione dal parroco, Don Ruggero, per prepararmi a sostenere l’esame di ammissione alle scuole medie, che andai a sostenere alle scuole di Agnone. Superato lo scoglio, l’anno successivo potei iscrivermi alla scuola media Scarano di Trivento, con sistemazione presso il convitto vescovile di Trivento.

Ragazzi 1952

Il convitto aveva sede in un antico palazzo verso il centro del paese che, come il nostro, si estende lungo le pendici di un colle, ed era costituito da un piano interrato dove c’era il refettorio,al piano terra si trovavano l’atrio ed alcuni locali con funzioni diverse, al primo piano c’erano la Cappella , la Direzione ed altri uffici; dal pianerottolo del secondo piano si aveva accesso sulla sinistra ad alcuni locali adibiti a studi e sulla destra, dopo aver salito alcuni gradini, ad un locale con due ampie finestre che lo rendevano molto luminoso. Le due finestre davano sul tetto del palazzo ed avevano il parapetto molto basso, quindi potevamo tranquillamente sederci con le gambe verso l’esterno. Di tutto il convitto questo era il mio posto preferito: si godeva un ottimo panorama, ma non era quello che mi interessava: da quelle finestre si poteva guardare in fondo alla valle il percorso del fiume Trigno.Da piccolino nelle acque del Trigno avevo giocato giornate intere, di quel fiume conoscevo dove nasceva, conoscevo il percorso iniziale: capotrigno, il castellano, lo sterparo, l’accucchiatora santa maria; stavo lì seduto e mentalmente ripercorrevo la strada di quell’acqua . Una sera, mentre me ne stavo seduto lì , la mente mi riportò, a causa di una lettera di mia madre che mi comunicava la scomparsa di Emilio di Santo(un vicino di casa), ad un giorno dei primi anni cinquanta. Il figlio minore di Emilio, Mario, era quasi mio coetaneo (lui classe 1948 ed io classe 1946) ed insieme ad Antonio Izzi costituivamo un trio inseparabile: le giornate le passavamo insieme, se faceva freddo stavamo in casa davanti al camino. Quella sera mi ricordai che un giorno davanti al camino, con Aquilina, la mamma di Mario, che ci raccontava le favole (Alì Babà e i 40 ladroni) c’era anche Emilio intento a realizzare qualcosa che non ci voleva dire e si divertiva a farci indovinare cosa fosse. In pratica aveva ripulito con il coltello alcuni bastoncini di legno, poi li aveva passati sulla fiamma del fuoco ardente ed infine, aiutandosi anche con dell’acqua bollente, li aveva modellati fino a farne delle anelle che una volta legate mantenevano la forma che lui gli aveva dato. A quel punto noi capimmo che aveva fatto " le cuvella” , ovvero delle anelle di legno che venivano legate stabilmente con un pezzo di corda al basto degli animali da soma e servivano per legare al basto eventuali carichi.

Quella sera in convitto, io mi ricordavo tutto, ma proprio non mi veniva in mente come si chiamavano quelle anelle in dialetto; il fatto mi mise una tale agitazione che il giorno seguente mi precipitai a scrivere a mia sorella Nicoletta descrivendole l’oggetto: lei riuscì a capirmi e mi rispose dicendomi che si trattava delle “cuvella”.

Prendendo spunto da questi due episodi ho iniziato a fare un elenco delle parole e delle espressioni del dialetto del paese in modo che ogni tanto.

....“ pe schiarì la voce l'aredìche”.

 

 Domenico Marchione